Divieto di niqab in Gran Bretagna?

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British Flag

Al contrario di quello che hanno scritto negli ultimi mesi alcuni giornalisti italiani, nel Regno Unito il divieto non esiste.

Il dibattito in atto riguarda solo alcune possibili eccezioni nei tribunali, negli ospedali e nelle scuole ed è stato scatenato da due eventi sostanzialemnte isolati.Il primo è stato quello di una scuola superiore di Birmingham, città del nord dell’Inghilterra a fortissima immigrazione islamica, dove la scorsa settimana era stato vietato alle studentesse di indossare il velo per motivi di sicurezza, per ottenere cioè il riconoscimento degli studenti. Una petizione on-line, a cui hanno aderito quasi novemila persone in circa 48 ore, ha costretto poi l’istituto a fare marcia indietro, per evitare l’accusa conclamata di «islamofobia».

Il secondo avvenimento è invece quello di un giudice della “Crown Court” a Londra, il giudice Murphy.

A tal proposito riportiamo uno stralcio di un articolo di Sara Silvestri per il “The conversation”, tradotto in italiano per Reset.it da Chiara Rizzo.

Il giudice Murphy ha infatti evitato di seguire la strada del divieto assoluto, ma la richiesta da parte sua che la donna interessata si scoprisse il volto nel momento in cui prestava testimonianza stabilisce un precedente, per quanto sul piano tecnico si sia chiaramente ribadito che si trattava di una soluzione ad hoc e che eventuali situazioni analoghe che dovessero presentarsi in futuro verranno discusse caso per caso.
Nel suo optare per un approccio morbido che consente alla teste di restare velata in aula durante il processo ma la obbliga a identificarsi di fronte ai pubblici ufficiali al suo ingresso e a scoprirsi il volto durante la deposizione, il giudice ha di fatto sottolineato un duplice ruolo e un duplice ordine di priorità in materia di diritti di chi viene citato in giudizio, oltre che la posizione istituzionale della figura del giudice e della corte. In quanto persona semplicemente presente in aula, la donna vede data priorità al suo diritto individuale alla libertà di credo religioso, ma quando assume il ruolo “ufficiale” di imputata ecco che prendono il sopravvento gli interessi dello Stato (che le “richiede” di presentarsi al cospetto di una corte) con tutte le regole di identificazione, trasparenza e comunicazione che vanno rispettate nel corso di un processo.

La motivazione addotta, quindi, è che “vedere la persona citata in giudizio risulta cruciale al fine di valutare la sua deposizione”.

Niente a che vedere con il vero e proprio episodio di razzismo che, qui in Italia, ha interessato una giovane intervenuta in un tribunale come interprete con un semplice hijeb e cioè con un velo che lascia scoperto il volto e cacciata via dal giudice – prontamente contraddetto da una delibera del Csm – che si appellava ad una postilla del codice civile che vieta l’uso di “cappelli” in aula.

Ovviamente, il fatto che si inizi a dibattere su un diritto che in Inghilterra sembrava assodato ormai da anni è l’indicatore di un cambiamento : evidentemente, anche nella multiculturale Inghilterra, alcuni politici non hanno più argomenti validi, opportuni e stimolanti sui quali impostare le loro campagne.