Ricorso contro la delibera anti-niqab di Maroni: è illegittima!

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burqa-ospedaleQualcosa si muove. Questa volta non c’è stato bisogno che fosse una donna in niqab, da sola, a battersi per far valere i diritti costituzionali e avanzare ricorso contro una legge sfacciatamente illegittima, demagogica e impugnabile.

Tre associazioni (Asgi, Avvocati per Niente e Naga) hanno presentato mercoledì scorso un ricorso contro la goffa e roboante legge anti-niqab di Maroni.

Secondo le associazioni, il provvedimento è contrario all’articolo 117 della Costituzione, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) e agli articoli 43 e 44 del Testo unico sull’immigrazione. In particolare gli avvocati che hanno presentato il ricorso sostengono che:

– La Regione non ha alcuna competenza a emanare disposizioni in materia di sicurezza pubblica e già questo basterebbe a dar conto dell’illegittimità della delibera;

– La delibera regionale pretenderebbe di riscrivere la norma nazionale e questa è un’assurdità dal punto di vista giuridico;

– La delibera viola una serie di sentenze già emesse dai vari tribunali. In particolare, la Sentenza del consiglio di Stato del 2008 in cui i giudici affermano che «un divieto assoluto vi e’ solo in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperta al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino. Negli altri casi, l’utilizzo di mezzi potenzialmente idonei a rendere difficoltoso il riconoscimento è vietato solo se avviene “senza giustificato motivo” e il velo che copre il volto […] non è generalmente diretto ad evitare il riconoscimento».

– La delibera viola il diritto a professare liberamente la propria religione;

– La delibera nega il diritto di accesso a servizi offerti al pubblico e a prestazioni sociali che attengono alla tutela della salute, della famiglia e della vita e che devono invece essere messe a disposizione della collettività senza alcuna distinzione attinente la sfera personale dei destinatari.

– La delibera è discriminatoria anche perché impedisce alle donne che indossano il burqa o il niqab di accedere agli ospedali e anche nelle case Aler (quindi in teoria anche di entrare in casa propria se sono affittuarie di un alloggio popolare).

Per tutti coloro che rivendicano il diritto di calpestare la Costituzione e la legge in nome della sicurezza, gli avvocati delle tre associazioni giustamente rispondono:

“Benchè la delibera non fornisca sul punto alcuna motivazione deve ritenersi che la connessione tra velo e sicurezza attenga esclusivamente alla questione della identificazione della persona (non certo alla questione del vestito in se stesso, posto che armi o qualsiasi altro oggetto rilevante ai fini della sicurezza possono assai più agevolmente essere trasportate sotto un cappotto o qualsiasi altro vestito di una certa ampiezza). Orbene il fine della identificazione, come appunto ricorda la citata pronuncia del Consiglio di Stato può agevolmente essere perseguito mediante la richiesta, caso per caso, di consentire l’identificazione rimuovendo il velo, richiesta alla quale qualunque privato, ove richiesto da un agente di pubblica sicurezza, deve ottemperare”.

A tal proposito vogliamo sottolineare che, a quanto ci risulta, finora nessuna donna in niqab in Italia si è mai rifiutata di farsi identificare dalle forze dell’ordine o di sottoporsi ai controlli. La redazione di Niqab.it, anzi, invita le forze dell’ordine ad individuare, schedare e monitorare tutte le donne in niqab residenti in Italia, se questo può rassicurare qualcuno. Noi donne in niqab siamo persone pulite, aperte e trasparenti. Non abbiamo paura della giustizia e delle forze dell’ordine, anzi ne abbiamo fiducia. Noi agiamo nella legalità e auspichiamo che gli altri facciano altrettanto. E non abbiamo nessuna intenzione di essere il capro espiatorio di una classe politica in declino che continua ad aggrapparsi a vuote e vane strategie mediatiche in cerca di consensi.

Ci complimentiamo con le associazioni Asgi, Avvocati per Niente e Naga che hanno deciso di prendere le difese di una minoranza nella minoranza, dimostrando con i fatti che davvero ci possono essere solidarietà e reciprocità nel rispetto delle differenze.