Niqab in Francia: quando la Corte Europea respinse il ricorso

Share

europa-niqabPoco meno di un anno fa, esattamente il primo luglio 2014, un comunicato stampa ci informava, con nostro grande stupore viste le precedenti dichiarazioni del Commissario Europeo, che la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva respinto – in maniera definitiva e inequivocabile – il ricorso contro il divieto al velo integrale nei luoghi pubblici entrato in vigore in Francia l’11 aprile del 2011. Secondo La Corte Europea, la legge NON violerebbe la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Lo hanno sancito i 17 giudici riuniti nella “Camera grande” in una sentenza che ha valore definitivo.

L’autrice del ricorso, una donna musulmana francese di 34 anni e di origini pakistane, aveva denunciato il divieto a indossare burqa e niqab “secondo quanto previsto dalla sua religione, dalla sua cultura e dalle sue convinzioni personali” come una discriminazione, una violazione della sua libertà di culto e della sua vita privata e familiare (il primo punto è stato respinto all’unanimità, gli altri due a maggioranza, con due giudici che hanno tenuto a spiegare il loro disaccordo in un allegato alla sentenza). La donna aveva sottolineato nel suo ricorso che “nè il marito nè alcun altro membro della sua famiglia” esercitava pressioni perché lei si coprisse il volto, che indossare il velo era una sua scelta, “per sentirsi in pace” con sé stessa (la traduzione dei punti fondamentali del ricorso è disponibile a questo link).

I giudici di Strasburgo sottolineavano invece che “il rispetto delle condizioni del ‘vivere insieme’ è un obiettivo legittimo” della legge e che, a questo fine, uno stato “dispone di un ampio margine di manovra”. La Corte accettava quindi che “la barriera sollevata contro gli altri da un velo che copre il viso è percepita dallo Stato come una violazione del diritto degli altri a vivere in uno spazio sociale che rende la vita in comune più facile”.

I giudici di Strasburgo evidentemente non hanno riflettuto però sul fatto che la vita sociale viene drasticamente negata a chi – nello spazio sociale – non può essere se stesso, ma è costretto a spogliarsi di ciò che è per far contenti tutti gli altri.

Non c’è nessun “vivere sociale” per chi viene costretto a diventare ciò che non è per far felici gli altri, nè per chi, avendo deciso di rimanere fedele a se stesso, venga – di fatto – condannato agli arresti domiciliari, senza aver commesso nessun crimine.

Eppure ci era sembrato fermo e irrevocabile il “no” al divieto di niqab del Commissario Europeo.

Questi diritti, aveva ricordato il Commissario, non possono essere limitati se non per motivi legati alla sicurezza pubblica, alla salvaguardia dell’ordine, della salute o della morale, oppure alla tutela dei diritti e delle libertà altrui. Nessuno ha potuto dimostrare, sostiene, che indossare il velo integrale metta a repentaglio l’uno o l’altro di questi principi.

E’ evidente che individuare in una scelta vestimentaria il limite ad una libertà altrui non è un pretesto per aggirare i principi della Convenzione.

Un pretesto pericoloso che potrebbe essere una miccia atta a scatenare atti di razzismo generalizzato.

La sentenza infatti non ha potuto non riconoscere che un paese che avvia procedimenti per varare leggi di questo tipo “corre il rischio di contribuire al consolidamento degli stereotipi che colpiscono gruppi specifici di persone e di incoraggiare espressioni di intolleranza quando al contrario ha il dovere di promuovere tolleranza”.

Detto in altri termini: un paese che vieta il niqab avvalla gli stereotipi razzisti della massa, al posto di combatterli e di educare la gente al rispetto reciproco.

Non si può più parlare di tolleranza dopo aver – di fatto – bandito il pluralismo.

L’integrazione può avvenire solo tra diversi. Se il diverso è costretto a diventare uguale a tutti gli altri non si parla più di tolleranza, integrazione e multiculturalità, ma di omologazione coercitiva e questo, dal punto di vista politico, è ciò che caratterizza una dittatura.

Questa sentenza lede tutte le donne musulmane europee e tutte le minoranze etniche, culturali e religiose presenti in Europa. Dopo questo, chi ci garantisce che i segni etnici, culturali e/o religiosi delle minoranze saranno tutelati e non verranno invece percepiti come una “violazione del diritto degli altri” che minoranza non sono?

Chi sa stabilire il confine tra la libertà di espressione che in Europa è lecito manifestare e quella che occorre necessariamente nascondere perchè lesiva dell’altrui diritto?

Fino a che punto, d’ora in poi, saremo liberi di pensarla in maniera diversa?

Questa sentenza sta attaccando i principi democratici alla base.

E non ci sarebbe nulla di male se l’Europa volesse cambiare rotta e introdurre un diverso tipo di governo. Che ce lo dicano, però.

Niente niqab, appartheid per Rom e immigrati, tacco a spillo per le suore e jeans aderente obbligatorio per le liceali.

Ah, dimenticavo, il jeans aderente obbligatorio le scuole francesi lo hanno imposto già.

www.niqab.it